In vacanza col buon samaritano

Copertina In vacanza col buon samaritanoEdizioni

Prima edizione: Einaudi («Supercoralli»), Torino 1997.

Titolo 

Il titolo richiama la parabola evangelica, qui ambientata non nelle terre desertiche fra Gerusalemme e Gerico, ma nella meno esotica Bordighera. L’accostamento di un termine prosaico, borghese, come «vacanza» a quello biblico del «buon samaritano» crea un contrasto di delicata ironia fra il piano alto del riferimento e quello basso del quotidiano.

Ma, più che i Vangeli, è un’incisione di Rembrandt che Lalla Romano ha evocato nel designare il personaggio del buon samaritano: «Un uomo, un orientale, visto di spalle, sta caricando sulla sua cavalcatura un uomo inerte, svenuto».

 

Argomento

È una storia «doppia», tragica e rasserenata dal tempo e dalla memoria. Si svolge in una cittadina ligure di villeggiatura, con i suoi alberghi dagli arredi un po’ antiquati, le ville costruite dagli inglesi, la spiaggia di sassi, il mare d’inverno, la sede della Società del Mutuo Soccorso fra Pescatori, le siepi di gelsomino, i tramonti sulle colline e le montagne che segnano il confine con la Francia.

Un romanzo sapienziale, ma anche di contemplazione della realtà. Una parabola sulla vita, in cui la scrittrice condensa il suo stile di poeta e di pittore, la sua sensibilità per la musica e il silenzio.

 

Incipit

L’antefatto

Torino

 

   Mentre mi riaccompagnava al Victoria, Carlo Ossola (il dolce) diceva tenendomi sottobraccio:

   – Felice te, che hai potuto raccontare tutto!

   – Oh, no! I momenti più preziosi li ho tenuti in serbo, e forse per sempre!

   Pensavo a quando Alessio, morente, aveva voluto vicino al letto un catino pieno d’acqua; con una mano la muoveva e diceva:

   – È il ruscello che scorreva sotto casa, a Tetto Coppi.

Antologia della critica

Quanta emozione può dare una pagina di Lalla Romano. Le parole pacate che sembrerebbero scorrere via sono la vita nelle sue universali tragedie e nella sua ragionevole ricchezza. La precisione e i dettagli sono un’arma dolce, il tono come se nulla si dicesse e invece si dovessero mandare a memoria quegli atti, i gesti quotidiani, i gesti ridotti a un movimento minimo, a una mossa destinata al silenzio, che ridesta nella scrittura (letteratura) la memoria e con essa il senso dell’esistenza e della sua fine e il dovere di misurarci con l’una e con l’altra. […[

Il romanzo non è un romanzo, ma è la costruzione di un romanzo nella ricerca, nella memoria, nei pensieri, nelle testimonianze, nelle carte, nei luoghi. […]

Chiudere l’ultima pagina e guardarsi attorno: la scrittura semplice di Lalla Romano dice, accanto ai suoi silenzi e agli spazi vuoti della pagina, dell’essenzialità necessaria di tutto: delle parole e della loro assenza. Per esempio potrebbe non essere essenziale dire che ci capita in mano un altro generoso dono della fortunata Lalla. Fortunata nella sua libertà di cercarsi le strade e nel saperle mostrare facendo quasi finta che non sia così. […] Pacificamente, serenamente, passati i novant’anni, nel miracolo di una letteratura così a ridosso della vita e di una vita discreta, modesta, silenziosa, Lalla Romano e il buon samaritano spendono una parola non per Dio ma per noi, per la nostra moralità, per la nostra utilità autentica, contro il falso, il banale, il volgare, la stupida dissipazione di quest’esistenza.   

 

Oreste Pivetta

«L’Unità», 15 febbraio 1998

 

 

In vacanza col buon samaritano è un breve libro poetico, ma in senso forte e anche fortemente narrativo è un romanzo-mare, come lo definisce lei stessa da qualche parte, ma non aspettatevi niente di astruso, di criptico. Al contrario. […]

Protagonista è, innanzitutto, la scrittrice, con il suo «egoismo» contrapposto alla vocazione di carità del «buon samaritano». […]

Ma Antonio non è il solo «samaritano» di questo incantevole e un po’ malinconico libro: c’è anche Frieda, una bellissima figura di donna che riesce ad essere non soltanto fedele ma anche felice nei suoi tre anni di matrimonio con il marito, Alessio, che morirà di sifilide contratta in trincea, ai tempi della guerra ’15-’18. E della memoria di Alessio, lo zio affascinante che le raccontava un’unica fiaba «a puntate», nella casa dei nonni, quando era bambina, Lalla ora va alla ricerca. Mi ha colpito la scelta della scrittrice di «evitare» il giudizio che non potrebbe essere se non di scandalo e condanna sugli usi e costumi dei tempi, che spedivano al fronte delle povere donne malate per confortare chi del resto aveva già ottime probabilità di crepare per una pallottola o una granata.

Ma il tema del libro è, mi sembra, l’essere (o non essere) capaci di carità, e forse, in questo senso, l’autrice ha voluto esercitarla anche rinunciando ad un giudizio storico che senza dubbio ha ben chiaro in testa. […]

Secondo me il grande insegnamento di In vacanza col buon samaritano è innanzitutto stilistico (stile di scrittura, stile di vita, non c’è divario…): la scrittrice dimostra qui ancora una volta con limpida perfezione che è possibile scrivere di sé facendo, dell’autobiografia, memoria. In tutto il suo percorso creativo, infatti, Lalla Romano è riuscita a non separarsi dalla propria vita quotidiana (e da quella degli altri, dei più amati, vivi o morti che siano), a non «rimuoverla» scrivendo, ad essere anzi sempre, e quasi spietatamente, sincera (del resto la vera pietà, ammonisce, è spietata), eppure, o proprio per questo, a fare grande letteratura.

 

Adele Cambria

«Liberazione», 4 marzo 1998

 

 

Un’opera svelta, con suoni e respiri marini, di stagioni e rumori con le sensazioni d’assommare; e mille biancospini svolazzanti come i capelli avorio tremanti della sua autrice […].

Un romanzo vibratile e umbratile come viole e violini nelle musiche inglesi del ’600; contemplazioni e riflessioni quanto lo furono Le lune di Hvar.

 

Marc de’ Pasquali

«Cult», 31 maggio 1998

 

 

Lalla Romano […] è stata una scrittrice che, nel costruire un romanzo, non si preoccupava di elaborare trame accattivanti, perché scrivere è una questione di stile: l’interesse non sta nei fatti, ma nel modo di raccontarli. […]

In vacanza col buon samaritano è un romanzo-non romanzo: la definizione è dell’autrice, come a indicare che il cerchio si chiude, il meccanismo a lei congeniale del libro sapienziale è ormai svelato e il contingente offre occasioni di riflessione, che si biforcano ancora nel ricordo, poi recuperano l’attuale con il sereno distacco dell’ironia. Già presente, l’ironia, nella parabola evangelica del buon samaritano con un sottilissimo esempio che è la «canzonatura più totale dei vari legittimi», nobili o sacerdoti che siano.

 

Claudia Claudiano

«Il Secolo XIX», 19 dicembre 2005