Le opere

L’esordio letterario di Lalla Romano avviene nel 1941 con la raccolta di poesie Fiore. La sua produzione narrativa conserverà un carattere unitario determinato da un modo «poetico» di accostarsi alla realtà, alla ricerca – come ha scritto – di una «trascendenza verso qualcosa di più essenziale e anche di più misterioso». La sua produzione poetica, iniziata con una sorta di «storia d’amore in versi», acquista nelle raccolte L’Autunno (1955) e Giovane è il tempo (1974) una profonda dimensione di pensiero.

Lalla Romano nella sua casa a MilanoIn Una giovinezza inventata Lalla Romano ha rivelato: «Dissi a Venturi che volevo scrivere (raccontare) ma che non era possibile, perché a me sarebbe piaciuto scrivere soltanto storie della mia famiglia. Nulla mi avrebbe mai interessato quanto il mio mondo». Quest’indugio viene superato attraverso l’attenta analisi dell’opera di Flaubert, avvenuta durante la guerra traducendo i Trois contes. Lalla Romano si convince che è possibile «raccontare» storie di famiglia, interessarsi al proprio mondo, senza scrivere dell’autobiografia: l’obiettivo non è infatti dare notizie sulla propria vita o su quella dei familiari, ma recuperare – attraverso la memoria – verità essenziali per tutti. Dopo aver scritto racconti e brevi saggi sulla pittura, Lalla Romano  pubblica il suo primo libro di narrativa nel 1951: Le metamorfosi, composto di sogni di vari personaggi, è un libro quasi in bilico tra poesia e prosa. Il sogno è qui possibilità di «narrazione pura», «poesie non in versi». Pur se dichiaratamente relazioni di sogni, in realtà si tratta di straordinarie invenzioni narrative; e, poiché sono sogni di persone dello stesso ambito familiare, nel loro insieme finiscono per costituire un romanzo, non di avvenimenti, ma di stati d’animo.

Il primo “vero” romanzo è dunque Maria, del 1953, storia della domestica che ha con la narratrice – sia pure nelle diversità sociali – profonde affinità. E l’esigenza delle «affinità» è sempre presente nei libri di Lalla Romano, «a lungo contemplati» e centrati su personaggi con i quali l’autrice avverte intime corrispondenze. Ed esplicitamente alle Affinità elettive di Goethe fa riferimento l’autrice nel presentare il suo romanzo successivo Tetto Murato (1956), ambientato negli anni della Resistenza, tema quest’ultimoche rimane sullo sfondo, mentre al centro del racconto è appunto il rapporto di «affinità» fra i quattro personaggi principali. Tetto Murato è uno dei libri più significativi della scrittrice piemontese, e mostra un attento lavoro sulla psicologia dei protagonisti.

Diario di Grecia (1959 e 1974) conferma l’«aerea semplicità di stile» (Calvino) e la densità del raccontare di Lalla Romano: la relazione di un viaggio (compiuto nel 1957) si trasforma nella scoperta della Grecia come «modo di vivere nell’eternità» (Montale). Con La penombra che abbiamo attraversato (1964), libro sulla sua infanzia, Lalla Romano continua a scrivere in prima persona e l’io narrante diventa protagonista: il «punto di vista» dell’autrice è determinante, e la propria vita, la propria esperienza – recuperata dalla memoria – acquista il valore paradigmatico di una verità più universale, «vera per chiunque». A questa «svolta» nella sua produzione la scrittrice giunge convinta, dopo L’uomo che parlava solo (1961), unico suo libro in cui l’io narrante è un personaggio maschile, che ripercorre, in una sorta di “esame di coscienza del protagonista”, una vicenda composta essenzialmente di pensieri e riflessioni. La nuova strada intrapresa con La penombra che abbiamo attraversato viene ripresa e in Le parole tra noi leggere (1969), quasi un «romanzo-saggio» sul rapporto conflittuale con il figlio Piero, libro che testimonia un dramma di amore e incomprensione, attrazione e fuga, reciproco rispetto e diffidenza. Di totale e assoluta attrazione è invece il rapporto con il protagonista de L’ospite (1973), il nipote di pochi mesi, contemplato come un soggetto di totale bellezza, un «piccolo dio»: è un romanzo breve, una sorta di diario dei giorni trascorsi dal nipotino con la nonna, ma è anche un libro «filosofico», poetico-filosofico, scritto nella «lingua della poesia» (Pasolini).

Con «levità di sguardo e di notazione» (Calvino) sono composti i vari racconti, più o meno lunghi, raccolti nel 1975 ne La villeggiante (la cui seconda parte viene ripubblicata nel 1978 col titolo Pralève). Sono storie giovanili (Avventure mancate) e una sorta di diario di villeggiatura, con al centro la montagna e «quelle persone un po’ speciali» che la scrittrice incontrava d’estate; il racconto più importante, La villeggiante, è già «un romanzo delicatissimo e intensissimo» (Piero Citati).

Le immagini e il racconto per immagini (si pensi a La penombra che abbiamo attraversato e anche Tetto Murato) svolgono un ruolo di grande importanza nei libri di Lalla Romano. Nel 1975, con Lettura di un’immagine, la scrittrice inizia un nuovo modo di comporre un romanzo: le fotografie che commenta, immagini con valenza di scrittura, sono esse stesse «testo» e «lo scritto un’illustrazione». Si tra di libri eminentemente «allusivi», in cui – come sempre nelle opere di Lalla Romano – molto spazio viene lasciato alla fantasia, all’intuizione del lettore. Lettura di un’immagine ricompone il microcosmo della fanciullezza della scrittrice – ossia lo stesso mondo narrato nella Penombra – attraverso le fotografie scattate dal padre. Qui tra foto e testo, tra l’interpretazione di quel mondo da parte del padre e le immagini e la «lettura» di quello stesso mondo da parte della scrittrice, si instaura quasi un dialogo, tessuto di allusioni e di rimandi, un susseguirsi di brevi commenti e appunti.

Le radici dello stile di Lalla Romano sono già annunciate nel «romanzo di formazione» Una giovinezza inventata (1979), il cui titolo allude a un «ritrovamento» posteriore, a una rielaborazione, una ricostruzione. Una giovinezza inventata è un libro essenzialmente autobiografico, pur nell’invenzione dell’«autobiografia poetica» della giovinezza, «ritrovata» attraverso un sapiente uso della memoria e dei documenti autentici dell’epoca. Nel 1981 pubblica Inseparabile, romanzo con protagonista ancora il nipote Emiliano, testimone della dura storia della «separazione» dei genitori.

Nel 1986 viene pubblicato La treccia di Tatiana, un altro libro di parole e immagini, basato sul testo di Lalla Romano e sulle fotografie di Antonio Ria. Qui l’intervento della scrittrice è innanzi tutto nell’organizzazione delle immagini – di una festa in una villa di campagna – a modo di racconto, «quasi spunti di romanzo» (Cesare Segre). I testi alludono a situazioni, condizioni e conflitti propri della parabola della vita, qui simbolicamente rappresentata. Nello stesso anno viene anche data alle stampe un’edizione rinnovata di Lettura di un’immagine, col titolo Romanzo di figure.

Il tema della separazione e della morte – già presente in Inseparabile – diventa determinante, accanto a quello dell’amore, in «uno dei libri più alti» (Segre) di Lalla Romano: Nei mari estremi (1987). «Insieme romanzo e diario» (Maria Corti) questo libro è davvero «estremo»: sapientemente costruito, sincero, a tratti spietato. Il racconto dell’amore verso il marito Innocenzo (prima parte: «Quattro anni») giunge all’essenzialità attraverso la narrazione della sua malattia e morte (seconda parte: «Quattro mesi»). È un libro che «non tace nulla e a un tempo è lontano da ogni forma di esibizione» (Giovanni Raboni). In Nei mari estremi Lalla Romano supera ogni reticenza, ogni riserbo, ogni convenzione: amore, malattia e morte vengono narrati con «lacerante scavo interiore» (Giulio Ferroni), con «spietata pietà» (Raboni), e tramite una descrizione precisa anche degli aspetti più segreti, intimi, personali, sulla scorta dell’affermazione, di Lalla Romano, «Non c’è pietà senza spietatezza».

Un libro chiave per comprendere l’opera di Lalla Romano è senza dubbio Un sogno del Nord (1989), composto da vari testi narrativi e critici, e costruito come un unicum che attraversa i diversi aspetti della sua poetica: scrittura e immagine, memoria e sogno, trasparenza e segretezza, verità e allusività, sperimentazione e classicità, semplicità e complessità, leggerezza e profondità, misura e spregiudicatezza…

Nel 1991 esce un nuovo «album», Terre di Lucchesia, nel quale le fotografie di Max Nobile sono commentate con brevi accenni, quasi versi poetici, contemplativi. Un’ulteriore radicalizzazione di registri ormai consolidati si ha con il «libro di viaggio» Le lune di Hvar, dello stesso anno, che per certi versi rappresenta la sintesi stilistica della sua opera: è «una sorta di ricapitolazione per essenze di tutto il suo lavoro, il suo testo più puro ed essenziale» (Carlo Bo). Qui l’occhio del pittore “vede” per illuminazioni, e la parola – attraverso scarne annotazioni, appunti – ritorna all’essenzialità della poesia, alla sua quasi indicibilità: Le lune di Hvar è quasi un «testamento» (Carlo Bo). Anche il romanzo breve Un caso di coscienza (1992) ripercorre i moduli narrativi già a lungo sperimentati: una storia della fine degli anni Cinquanta, tratta dall’esperienza scolastica della scrittrice, diventa occasione per ricomporre il senso di un’epoca, senza ricostruzioni storiche, ma attraverso la sola «invenzione» di personaggi, «attori» del tempo ma emblematici di una condizione universale.

Nel 1993, in occasione di una grande mostra antologica al Circolo degli Artisti di Torino, viene pubblicato il volume Lalla Romano pittrice, con testi di commento delle opere scritti dall’autrice stessa. Il volume rappresenta un «diario del pittore» e una «lettura a posteriori» di queste composizioni condotta con ironia e distacco critico. «Con queste schede – scrive Segre – Lalla Romano ci dà un esempio inarrivabile di come spesso si possano collegare pitture e scritti narrativi».

Nel 1995 esce Sguardi, un altro album fotografico di ritratti di scrittori e intellettuali, con il commento di Lalla Romano alle immagini scattate da Vincenzo Cottinelli, e Ho sognato l’Ospedale, breve romanzo sull’esperienza vissuta durante un periodo di ricovero. Ancora una volta la narrazione apre un orizzonte che parte dal dato personale per diventare, grazie anche all’essenzialità della lingua, riflessione sul sentire di tutti.

Nel 1996 Lalla Romano pubblica una versione rinnovata di Nei mari estremi e, in occasione dell’uscita di un album fotografico dedicato all’artista Robert Doisneau, scrive i testi di commento al volume.

L’anno successivo vengono pubblicati Nuovo romanzo di figure, riedizione del volume precedente con una seconda parte inedita, e In vacanza col buon samaritano. Il romanzo, che si richiama al testo evangelico, colloca in una località marina di confine una «doppia» storia: da un moderno samaritano che vigila sulle vacanze dell’io narrante a una figura leggendaria ed elusiva, che a sua volta viene confortata da una buona samaritana. Lalla Romano a proposito di questo testo scrisse che avrebbe voluto conferire alle sue pagine «il rumore del mare». Ne è nata una ricerca interiore scandita dalla musica e dal silenzio, fra spiagge di sassi e alberghi d’altri tempi.

Dalle tracce di una trasmissione televisiva, «Primadonne», prende spunto invece il progetto dell’opera L’eterno presente. Conversazione con Antonio Ria (1998). Nel corso del colloquio, interrogata dall’amico e compagno, Lalla Romano risponde senza reticenze alle domande che spaziano dal presente – la vecchiaia e la malattia – all’infanzia, all’amicizia, all’amore: un intreccio fra scrittura e vita, fra memoria e fantasia. «Non abbiamo esaurito, Antonio ed io, il nostro compito di affrontare temi importanti», scrive nell’Introduzione l’autrice, che, infatti, torna anche l’anno successivo, il 1999, su un tema per lei essenziale: la memoria. Ancora una volta emergono «dall’ombra» vite e persone che diventano ritratti fulminanti, figure che hanno accompagnato la sua adolescenza, ma che sono anche caratteristiche di un’epoca. Nel romanzo Dall’ombra, gli anni del ginnasio trascorsi a Cuneo, i paesaggi e le persone, sono rivisitati con un’intensità di tratto che restituisce l’essenza più segreta e misteriosa delle «cose».

Ancora un «ritorno» alla memoria, questa volta al paese natale, Demonte, dà vita nel 2000 ad altri ricordi. Il ritrovamento di nuove lastre fotografiche del padre, Roberto Romano, ispira brevi racconti di raccordo alle immagini. In Ritorno a Ponte Stura (questo il nome che inizialmente era stato dato a Demonte ne La penombra che abbiamo attraversato) prosegue la nuova forma di romanzo, «scritto» dalle fotografie.

Lalla Romano, ormai quasi del tutto cieca, continua scrivere. Fra il marzo del 2000 e il gennaio del 2001 annota poesie, pensieri, aforismi, alternati a registrazioni, anche minime, della vita quotidiana: Diario ultimo (pubblicato postumo nel 2006) è l’ultima testimonianza della sua creatività e della sua poetica, il testamento di una vita. Raccoglie frammenti di memoria, emozioni, silenzi, espressi con una scrittura scarnificata.

Nel dicembre 2001 Einaudi pubblica una plaquette, curata da Antonio Ria, dal titolo Poesie per il signor Montale seguite da Parole ultime.

In occasione del primo anniversario della scomparsa di Lalla Romano, nel 2002, vengono pubblicate a cura di Antonio Ria Poesie (forse) utili, corredate da una ventina di disegni inediti, con un testo di Carlo Ossola. Si tratta di versi raccolti negli anni precedenti da Lalla Romano e conservati in una busta con questo titolo: tutto è «raccolto ma non sigillato, per una presenza che non cesserà, per un compito che s’innerva nell’invisibile» (Ossola).

Ancora a cura di Antonio Ria una raccolta di «versi di affinità elettive», per lo più inediti, accompagnati da disegni pure inediti, dà vita nel 2007 a Poesie per Giovanni, composto da due «faldoni»: il primo ritrovato nell’archivio di Lalla Romano, il secondo conservato a Sanremo in casa dell’amico di gioventù Giovanni Ermiglia. «Liriche databili ma non datate – scrive Giovanni Tesio nella Presentazione –, perché si tratta di poesie che procedono sempre da emozioni non deperibili, per l’energia che le muove, nell’esattezza dei primitivi come Cino da Pistoia».

E proprio sul poeta stilnovista, lodato da Dante, Lalla Romano aveva scritto la sua tesi di laurea in filologia romanza, La lirica di Cino da Pistoia, discussa nel 1928 e pubblicata nel 2007: «in un certo senso l’“opera prima” letteraria della futura scrittrice», scrive Antonio Ria nella Nota introduttiva.

Al racconto sugli ultimi soggiorni dell’autrice in Valle d’Aosta è dedicato il volumetto Vetan, pubblicato da Liaison nel 2008, a cura e con Prefazione di Antonio Ria, e con uno scritto di Paolo Di Paolo.