Un sogno del Nord
Edizioni
Prima edizione: Einaudi («Supercoralli»), Torino 1989.
Altre edizioni: in Opere, a cura di Cesare Segre, Mondadori («I Meridiani»), vol. II, pp. 1323-678.
Premi
Premio Procida-Isola d’Arturo / Elsa Morante, Comune di Procida 1989.
Titolo
Il sogno è uno dei fili conduttori dell’opera di Lalla Romano fin dagli esordi de Le metamorfosi. In questo testo, che raccoglie brevi prose scritte in momenti diversi, assume il significato di «visione», viaggio in un mondo altro, estremo, come quello evocato dall’Anonimo Norvegese nel poemetto medievale Il canto del sogno, citato non a caso dall’autrice. E il Nord non è tanto riferimento geografico, quanto metafora di solitudini e paesaggi interiori: «Anzitutto era un suono; evocava lontananze indefinite, mari deserti e freddi, lunghi crepuscoli, e storie di gente aristocratica segreta».
Argomento
In questo libro rivivono paesi lontani, luoghi della memoria, incontri e ombre, storie intraviste e sofferte: un itinerario vasto che raccoglie narrazioni scritte nell’arco di quarant’anni che si attraggono reciprocamente grazie alla forza magnetica di una prosa allusiva e in apparenza reticente. I pezzi non sono raggruppati in ordine diacronico, ma per affinità. Nelle prime due parti del libro sono concentrati soprattutto racconti di viaggio, nelle altre si affiancano riflessioni sul sacro, sull’immagine, brevi ritratti di grandi letterati (da Pavese a Bacchelli), osservazioni sulle «cose della città» (dalle «prime» alla Scala agli incontri al bar). L’ultima sezione, «Cuneo ’45», è una specie di omaggio alla città fatto dalla scrittrice alla sua patria d’origine: articoli apparsi su Giustizia e libertà durante la liberazione.
Incipit
Un sogno del Nord
Il nome «Baltico» era, nell’infanzia, all’origine dei miei sogni sui nomi.
Anzitutto era un suono; evocava lontananze indefinite, mari deserti e freddi, lunghi crepuscoli, e storie di gente aristocratica, segreta.
Poi mi incantò il titolo di una novella di Andersen – anche i titoli erano fonte di sogni – che alludeva a una solitudine rischiosa e fatale, quasi disumana: Nei mari estremi.
Al ginnasio composi una poesiola:
Dove tra gli abeti
crescono le betulle
bianche i poeti
sognano le fanciulle.
Nella strofetta si trova una curiosa anticipazione. L’immagine – simbolica – contiene una suggestione pittorica precisa: Munch. E par di vedere i fluttuanti fantasmi femminili delle sue enigmatiche acqueforti.
Antologia della critica
Un sogno del Nord raccoglie prose varie scritte nell’arco di quarant’anni, e di straordinaria unità stilistica. Si direbbe anzi che gli anni non sfiorino questo piccolo tempio intimo, questo luogo cintato con la grazia, e le buone maniere di una signora d’altri tempi. […]
Il suo io è lieve e smisurato, i suoi pensieri sono immagini, i personaggi dei suoi racconti sono fantasmi […].
Queste epifanie, comiche o no, fanno parte del vasto archivio mentale (minimale) di Lalla Romano e hanno spesso una funzione di avvio alla narrazione, che procede poi secondo l’arbitrio, ma sempre legata da un filtro misterioso di connessioni. Talvolta abilissime e quasi struggenti, […] altre volte liriche e melodiche. […]
La virtù di un narratore intimista come Lalla Romano è innanzitutto la «molta pazienza» e quella specie di fedeltà a un limite e a un’ombra – l’ostensione di sé – che altri ignora o depreca. E non domandarsi mai, neppure per scherzo: «Perché ho raccontato questa piccola storia?».
Giorgio Ficara
«Panorama, 18 giugno 1989
Quello che affascina il lettore di questo libro, mi pare proprio che sia questo muoversi nella Storia –quarant’anni non sono pochi – a volte vivendola, a volte soltanto passandoci accanto, sfiorandola. Sempre raccontandola in questa sua lingua priva di retorica o di compiacimenti, in questo suo modo seriamente e felicemente femminile di cogliere i particolari che contano, di descrivere le persone di fuori perché meglio si capisca come sono di dentro, con questa capacità rara di trasformare una vicenda personale in una storia in cui ci si ritrova un po’ tutti.
Giulia Borgese
«Corriere della Sera», 9 luglio 1989
Un sogno del Nord raccoglie memorie di persone, di luoghi, riflessioni e fatti della vita, su libri, su pittori: tante cose messe insieme in vari anni, ma tutte segnate da una grande libertà inventiva, da un piacere a stento contenuto nel rievocare, nello scrivere.
Un simile piacere, lo confesso, mi mette allegria: mi mette allegria quella strana mistura di astuzie, di disincanti, di candore insieme, che lo anima. […]
È l’incessante vibrazione della vita che Lalla Romano riesce a catturare con una naturalezza invidiabile.
Enzo Siciliano
«L’Espresso», 9 luglio 1989
Un sogno del Nord è un journal: il journal di una scrittrice e di una donna indipendente, di affetti ruvidi ma profondi, insieme distaccata e attenta, che si permette persino di prendere le distanze dal femminismo; e che, pur legata intimamente alla sua terra, non ha mai «pensato in dialetto», non solo perché, come accenna con una punta di ironia, ha fatto il liceo classico, ma per il bisogno razionale di «parlare a tutti». […]
C’è in tutte queste pagine intelligenza, chiarezza, riserbo o addirittura ritrosia, cultura non occasionale ma vissuta, e una sempre contenuta generosità. La Romano è una di quelle scrittrici che, per ripetere un luogo comune che ha peraltro un suo fondamento, se fossero nate a Parigi anziché a Demonte, avrebbero un nome di risonanza internazionale.
Geno Pampaloni
«Il Giornale», 16 luglio 1989
Dei libri della Romano è stato detto una volta che assomigliano agli schizzi tracciati velocemente da un pittore su un foglietto per annotare una figura o uno scorcio di paesaggio da inserire poi in un quadro, segnati da una precarietà solo apparente perché a guardarli appaiono piccole opere finite. Anche i volumi della scrittrice piemontese hanno la stessa fisionomia, sono composti da piccoli (e preziosissimi) frammenti che si fondono in figure dalle mille suggestioni. È un giudizio che si attaglia perfettamente a Un sogno del Nord. […]
Il filo rosso che lega i diversi episodi, i diversi ricordi è rappresentato dal ritmo della scrittura. […]
Le linee di sviluppo del racconto autobiografico sono soprattutto due: una legata all’intimità di Lalla Romano, alle sue vicende familiari, l’altra agli incontri pubblici, ai sodalizi intellettuali. […]
Ma al centro di ogni storia c’è sempre lei, Lalla Romano, che osserva, scruta, analizza, offre giudizi. In maniera sempre pacata, con un egotismo che mai disturba, con un entusiasmo solare per gli eventi di cui è testimone. Qualità che contribuiscono a rendere Un sogno del Nord un libro davvero delizioso, da centellinarsi con cura capitolo dopo capitolo riassaporando l’atmosfera di un passato prossimo ricostruito con meticolosa cura e precisione.
Matteo Visconti
«Alto Adige», 26 luglio 1989
In questo libro c’è tutto e tutto importa, anche certe paginette magari apparse in un album fotografico del Cottolengo. La materia è suddivisa per temi e non reca date. È giusto, perché il tempo nella letteratura della Romano è una categoria e non tempo cronologico. […]
Il libro può e deve essere letto anche come testimonianza di una cultura e di una formazione civile (e politica), e del modo di amministrarla; e come prezioso documento di poetica, in questo senso certamente tra i più importanti se non proprio il più importante. Senza dire, ovviamente, del piacere narrativo che ogni pagina suscita, sia di viaggio o di memorialistica culturale o familiare. La Romano racconta sempre, nel senso che racconta evocando ed evoca narrando con scrupoloso puntiglio persone e cose, producendo infallibilmente quella pagina lineare e incalzante, «sua», che conosciamo da sempre.
Claudio Marabini
«Il Resto del Carlino», 8 agosto 1989
Un sogno del Nord non è né la confessione privata, né l’abbandono lirico; né, all’inverso, la sequenza di fatti ed episodi di cronaca: ma piuttosto il filo di una riflessività personale, di volta in volta solleticata o provocata dalle situazioni (o dal caso addirittura), ma non esaurita nella descrizione dei casi, bensì connessa da una continuità meditativa e contemplativa che va oltre l’episodio. […]
La Romano lascia cadere qua e là constatazioni che assumono il valore di aforismi e mettono a fuoco le sue posizioni di fronte alla vita e alla cultura e all’arte e alla società. Mettendole assieme, o soltanto accostandole, ne viene fuori una coerente morale di comportamento, uno specchio della sua anima e del suo gusto.
Giorgio Pullini
«Messaggero Veneto», 9 agosto 1989
In questi scritti brevi Lalla Romano mette tutta se stessa, il suo pensiero nell’interpretazione di un personaggio, nella riflessione e nell’evocazione, e non fuori dal tempo, ma in un’attualità che ci colpisce per l’immediatezza e per la forza con cui ci rivela la presenza del ricordo. La spietatezza, di cui Lalla Romano ha fatto una bandiera, esiste sì in questa raccolta: una spietatezza che la scrittrice sostiene necessaria per essere artisti, qui mitigata però dalla dolcezza del ricordo e da piccole frasi che danno un tono talvolta perfino malinconico ai suoi incontri e ai suoi viaggi. Leggere Un sogno del Nord è immergersi in un mondo di personaggi che ci accompagnano in questa avventura, ci tengono per mano e, in qualche modo, ci aiutano a sognare un sogno che ha un suo linguaggio e che desideriamo far proseguire nel dormiveglia. Non sono ombre gli incontri di Lalla Romano, sono presenze.
Rosellina Archinto
«Vogue Italia», settembre 1989
Costituito da pezzi raggruppati per somiglianza di intonazione, il volume finisce per costituire una ricca biblioteca di note sul lungo cammino dell’Italia del dopoguerra: non perde però mai di vista il mondo intimo, un po’ malinconico e musicale, che la Romano è andata via via raffigurando nella sua intensa produzione narrativa. […]
La Romano ferma la fragilità umana in una pudica zona di suggerimenti, di interrogativi, di ipotesi. Il suo universo è quello aggraziato e severo, timido e coraggioso della denuncia senza grido, del dolore senza clamore. Sotterranea, passa una voce di sofferenza e dice forse di più di tanta gridata oratoria. […]
Ancora una volta la Romano sa scivolare dalla storia ufficiale alla piccola storia mormorante delle coscienze e dei segreti, all’invisibile e vulnerabile presentarsi di un pensiero a quel poco di gioia che può dare il lampo di una parola presto confusa nella recita senza interruzioni che è il vivere, con le sue regole rigide, l’acquiescenza al male, il freddo formulario delle convenzioni. Anche parlando di personaggi noti, di libri celebratissimi, di film che hanno fatto la storia della cinematografia, l’autrice va in cerca dell’istante di abbandono totale, della fiammella che non brucia in vetrina. Ed è sospinta da grande generosità, da un desiderio di comprendere e assolvere e soprattutto di riattivare una memoria, di attenderla con trepidazione a un nuovo incontro, pure a una nuova ferita, ma senza cerimonia, senza calcolo.
Giuseppe Amoroso
«La Gazzetta del Sud», 2 settembre 1989
È una realtà che si allarga dai ricordi infantili e giovanili alle tante amicizie dell’età matura, dalla attività di scrittrice alle cronache della lotta partigiana (Boves), da viaggi in terre lontane all’affettuoso e tenace legame con la terra d’origine Cuneo, Demonte e la valle Stura, e spazia dalla letteratura, alla pittura, alla musica con accenti ora più commossi ora più ironici ma sempre dominati da un lucido controllo della ragione, da un’attenta passione per la verità.
Il lettore si trova a godere una pagina dopo l’altra di una prosa tanto semplice e colloquiale quanto rigorosa e priva di inutili fremiti, quella che Pasolini ebbe a definire «una prosa pura, eletta, selettiva»; o, per riprendere una felice definizione che l’autrice dedica a un libro di Mario Soldati e che non dovrebbe dispiacerle, uno stile «profondo in superficie».
Giuliano Manacorda
«Il Tempo», 7 settembre 1989
Un libro necessario […].
In esso la verità si dispiega, avanza piana e sicura, ma è la verità di una donna, autrice di poesie e romanzi e racconti, che dell’autobiografismo arriva a fare la storia minuziosa – fino all’estrema indagine, fino alla spietatezza – di un’intelligenza che cerca nei viluppi del mondo.
V’è, nella scrittura di Lalla Romano, una sapienza che viene da un lungo rischioso esercizio: l’attenzione all’altro che portiamo in noi e il suo rapporto con gli altri che ci trattengono, ci innamorano, ci respingono. V’è inoltre, una profonda conoscenza dei propri strumenti e la certezza di una scelta rinnovata di giorno in giorno, di opera in opera.
Elio Pecora
«La Voce Repubblicana», 8 settembre 1989
Le occasioni che hanno dato origine alle prose del libro sono comprese fra la felicità della memoria e della rievocazione e la risposta a sollecitazioni un poco esteriori: […] piccoli medaglioni che partono dal particolare quasi insignificante, dal ricordo di un gesto, di una battuta, col fine di fissare in questo modo non il personaggio, ma l’atmosfera di un incontro, di una consuetudine di famiglia o di lavoro letterario, di un rapporto intellettuale, sempre, cioè, partendo dall’estrema concretezza del particolare umano, a volte anche troppo umano. […]
I testi che rimangono nel ricordo del lettore sono quelli a cui più strettamente si lega il trasalimento della memoria, con tutti i suoi affetti e i suoi fermenti.
Nessuno come Lalla Romano sa rievocare piazze e vie della «sua» città di Cuneo, i paesi delle valli cuneesi, le montagne, le figure semplici e severe degli abitanti, i momenti di vita passati in quei luoghi, scorci anche brevissimi di destini, di esistenze chiuse e difficili.
Giorgio Barberi Squarotti
«La Stampa», 9 settembre 1989
I sentimenti son qui descritti in tono diaristico e confidenziale, allo scoperto se vogliamo, un «confessarsi» a viso aperto in quella che ch’è la dote più significativa di Lalla Romano, una sincerità rigorosa e non indulgenziale, sovente cruda e nuda, ma sempre intrisa di benevolenza ed umanità, di profondo rispetto per gli altri. […]
Quello che affascina il lettore in questo Sogno del Nord è soprattutto quell’incrociarsi di considerazioni particolari non databili, lo stile asciutto ed elegante, fors’anche una civetteria arguta e delicata, la piacevolezza d’uno scrivere, già ammirata in altre opere.
Luciano Giuseppe Volino
«Corriere dell’Adda», 23 settembre 1989
Un sogno del Nord è forse – di tutti – il libro che meglio interpreta il paragone: mai come dalle pagine di Un sogno del Nord l’autoritratto della scrittrice esce così sfaccettato e tuttavia compatto, sintetico, unitario. Come quello di un pittore che abbia toccato la sua piena maturità creativa.
Uno degli aspetti attraverso cui la densità della pennellata si traduce in severità di sguardo è la fermezza di certe dichiarazioni che esprimono una preferenza, indicano una coincidenza, liquidano una convenzione, denunciano una fascinazione, sottolineano un rifiuto, designano un penchant, costruiscono tutt’insieme un’identità magari drammaticamente in conflitto, ma mai in contraddizione. […]
Pur nella complanarità dei temi, dei motivi, dei registri, l’importanza di Un sogno del Nord sta nel rilievo delle sue considerazioni di “poetica”, nello sviluppo di una “vocazione”, che non è solo quella di essere “cuneese”, ma – ben più impegnativamente – di essere “artista”. […]
Intanto la “consapevolezza” dell’arte, ossia la riflessione assidua, che non incide come tale – sia ben inteso – nell’autonomia (e nella salvaguardia) dell’operare artistico e letterario, ma lo accompagna in una sorta di scienza congiunta, di conoscenza – come ammette la stessa Romano – «aristocratica» e persino «intellettualistica», che tuttavia non è «snobismo» ma inderogabile necessità di «astrazione». […]
Un sogno del Nord può dunque essere considerato un po’ come la summa di una riflessione giunta alla più piena maturità (anche biografica): come la forza dell’artista non venga dalla bravura, ma dal sentimento vero che l’impronta; come (con Goethe) il genio sia pazienza; come la bellezza debba essere classicamente (non neo-classicamente) scevra da ogni orpello decorativo, sovrapposto, imitativo; come si debbano rifiutare la precettistica e la “ragionevolezza”; come valgano gli elogi della chiarezza e della semplicità (da intendersi come assenza di affettazione); come – da Friedrich Schlegel e Novalis a Nietzsche – s’imponga l’idea dell’incompiuto piuttosto che del finito.
Giovanni Tesio
Il cuore («imperdonabile») di «Un sogno del Nord», in «Il Giannone» (La verità della memoria. Omaggio a Lalla Romano (1906-2001), a cura di G. Nuvoli e A. Ria, IX (2011), n. 18, pp. 264-73;
e, col titolo Lalla Romano e il cuore («imperdonabile») di «Un sogno del Nord»,
in Id, Novecento in prosa. Da Pirandello a Busi, Edizioni Mercurio, Vercelli 2011, pp. 20-34.