La villeggiante / Pralève

La villeggiante / PralèveEdizioni

Prime edizioni: Einaudi, Torino 1975; Pralève, Einaudi («Nuovi Coralli»), Torino 1978; La villeggiante e altri racconti, Oscar Mondadori, a cura di Antonio Ria, Premessa dell’autrice, Postfazione di Giovanni Tesio, Milano 2001.

Altre edizioni: in Opere, a cura di Cesare Segre, Mondadori («I Meridiani»), Milano 1991, vol. I, pp. 445-621.

  

Titolo

La villeggiante è il titolo della seconda parte dei racconti presenti nel volume, poi pubblicata col titolo Pralève, nome d’arte di Cheneil, località della Valle d’Aosta dove l’autrice ha trascorso per molti anni la sua villeggiatura estiva. La villeggiante è l’io narrante, che descrive in intense pennellate i paesaggi solitari delle montagne e gli incontri che vi avvengono: sono rapidi schizzi di persone, tranches de vie che delineano un intero mondo.

  

Argomento

La «Parte prima» (Avventure mancate) è composta da racconti presentati in prima e terza persona, da storie sospese fra desiderio e frustrazione, fra la possibilità di cambiare il proprio destino e la delusione  – o il sollievo – di non averlo fatto. La seconda sezione (La villeggiante) è annunciata da una citazione del profeta Geremia, «L’estate è finita e noi non siamo stati salvati», che allude alla dimensione spirituale dell’uomo. Il contrasto fra i «nativi» e i villeggianti, fra le montagne immutabili e le inquietudini dei forestieri è il filo che si dipana nel tempo, non di una sola estate, ma delle intere esistenze dei personaggi di Pralève. Come ha scritto Italo Calvino in una lettera all’autrice: «Il tema è la montagna, non solo come paesaggio ma soprattutto il posto della montagna nella società italiana, in quella parte della società che si definisce appunto nel suo rapporto con la montagna».

 

Incipit 

     Il vicinato

 

     La gente che passa sul marciapiede assolato davanti alla finestra della sartoria, se guarda attraverso la grossa inferriata distingue appena, nel buio dell’interno, qualche lampo metallico delle macchine da cucire o la macchia chiara di una faccia vicina o d’una pezza bianca di stoffa.

     Loro, le ragazze cucitrici, non guardano mai fuori, perché gli occhi restano abbagliati dalla luce e macchie rosse ballano sulle mani e sul lavoro.

     D’inverno, quando viene sgombrato soltanto il marciapiede e la neve si ammucchia nel mezzo della strada, alla finestra nera affiorano le luci rosee delle lampadine. Dentro, la neve manda un riverbero azzurro.

  

Antologia della critica 

L’uso del verbo «narrare» non è certamente del tutto appropriato, se non fosse utile a rendere lo scorrere del tempo sulle creature di Pralève, il suo potere «dirompente», malgrado la volontà degli individui e l’«artificio», il «sortilegio» della scrittura, della poesia. […]

La dimensione della scrittura è quella ironico-razionale, che i lettori della Romano hanno già imparato a conoscere, cosicché Pralève, i luoghi segreti, le figure senza tempo degli abitanti «immutabili» possono suggerire l’universo pascaliano e il castello kafkiano, senza però l’ossessione, l’angoscia, il sentimento della decadenza e del peccato.

 

Anna Maria Catalucci

«Corriere del Ticino», 27 marzo 1975

 

 

La Romano appartiene alla famiglia degli scrittori che fondano la loro forza sulla pazienza e sull’esercizio e chi volesse o avesse bisogno di una riprova non avrebbe che da confrontare le pagine ultime con i primi tentativi che, pur essendo di un livello notevole, non riescono a nascondere incertezze e impacci che sono propri degli inizi e delle partenze anche prudenti e caute. […]

La grazia, la felicità della seconda parte non ci sarebbero state senza questa costante opera di scarico della zavorra, senza questa eliminazione di ciò che pure la Romano avrebbe potuto tentare, e magari con qualche successo nell’ordine della letteratura commerciale. […]

Certi abbozzi di racconti, certe parti di prosa poetica indicano assai bene l’entità del rifiuto, tutto ciò che la scrittrice spostava sui margini offrendo un documento prezioso del suo lento e meditato approccio a quella che sarebbe diventata la sua letteratura, il suo modo di scrivere, soprattutto la sua facoltà di strappare alle cose minime, alla polvere che – di solito – lasciamo cadere sulle nostre ore perdute, il segreto della vita poetica, di quanto con l’aiuto della poesia siamo in grado di sottrarre alla rovina dei nostri giorni.

 

Carlo Bo

«Corriere della Sera», 13 luglio 1975

 

 

Nei racconti di La villeggiante […] ogni intrigo o sospensione romanzesca sono aboliti: resta la traccia ideale d’una vitalità dispersa dall’esistere, che soltanto la scrittura può recuperare.

È questa l’«autenticità» della Romano: il suo fissare dentro periodi dal respiro breve, tendenzialmente monodici, testimonianze legate al dominio del visivo, traducendole con ferma coscienza nella trama verbale.

 

Enzo Siciliano

«Il Mondo», 18 settembre 1975

 

 

Capita molto di rado, chissà perché, che i libri ispirati alla montagna siano privi di una certa retorica (un rischio che il mare non sembra correre); questo invece fa eccezione, e anzi il suo linguaggio è del tutto opposto a quello retorico, essendo sottilmente poetico. Quella poetica resta la vera dimensione della Romano, e chi conosce gli altri suoi testi non può dubitarne.

 

Antonia Mazza

«Letture», XXX (1976), n. 2

 

 

La narrativa, tecnicamente impressionistica di Lalla Romano, procede per accumulo di voci e colori. Utilizza, apparentemente, segni reali: sembra, ad un esame superficiale, descrittiva, realistica. In realtà è una narrativa simbolica, piena di epifanie e rimandi onirici.

 

Raffaele Crovi

«Tempo», 5 settembre 1975

 

 

La villeggiante (specie nella parte eponima, che sarà Pralève) è soprattutto un libro capace di esprimere il carattere di una scrittrice che fa canone. Nel paesaggio naturale di Pralève («due ore di mulattiera» che separano dal fondo valle «sacro un tempo ai pionieri e ai loro devoti, ora rintronato dai motori e dai juke-box»), il colorismo quasi scompare o meglio perde quel «di più» che ancora segna le pagine dei racconti (e in special modo del primo, Cronache della sartoria). La natura «impervia e appartata» di Pralève ha un carattere forte e antico che immettendo «in una dimensione diversa», esclude ogni facilità. Ogni possibile descrittivismo viene assorbito entro una severa qualità di sguardo che mira a cogliere l’essenziale: delle persone e delle cose.

Non che non appaiano citazioni di tipo comparativo (il Le Nain o il Carpaccio degli Schiavoni) o che manchino occasioni contenutistiche legate a personaggi specifici (il «pittore» o l’acquerellista «dottor Kurtz») o ancora che non esistano momenti di vera e propria disposizione pittorica. […]

Collocandosi – personaggio tra i personaggi – nel cuore di un’«isola» (un po’ come accadrà a Hvar: e non per caso Cheneil ne Le lune di Hvar vien citata più volte), l’io narrante attraversa luoghi e momenti, di cui esplora la bellezza drammatica e remota. Tra nativi chiusi nel loro segreto e villeggianti dignitosi o striduli, va in cerca della natura di cui esplora i misteri costruendo a sua volta di sé un autoritratto serio e a tratti severo.

 

Giovanni Tesio

Postfazione a La villeggiante e altri racconti, Oscar Mondadori, Milano 2001, pp. 232-34

 

 

L’autrice si presenta come «personaggio-testimone», e «partecipe». Il suo è il distacco dello sguardo che vede ma non giudica, a far emergere l’umana comprensione verso i luoghi, le persone, le loro storie passate e presenti. In questa frequentazione della Valle d’Aosta la scrittrice assume la veste della testimone di una realtà che sta mutando. […]

Questi racconti sono anche una piccola summa della sua poetica. C’è la descrizione minuziosa ma non pedante del luogo, dell’atmosfera stregata, antica, dei pascoli con le loro sparse baite, dei costoni dai quali ammirare orizzonti di montagne. C’è la gioiosa scoperta che è anche un  ritorno (tema fondamentale in tutta la sua opera) a un paesaggio silenzioso e vasto che tanto era mancato per anni alla sua vita attraversata dagli studi, dal matrimonio, dal lavoro, dalla maternità e dalla guerra.

 

Antonio Ria

Prefazione a L. Romano, Vetan, Liaison editrice, Courmayeur 2008, pp. 8-9