L’ospite
Edizioni
Prima edizione: Einaudi («Supercoralli»), Torino 1973.
Successive edizioni Einaudi: «Letture per la scuola media», Prefazione dell’autrice, Torino 1978.
Altre edizioni: in Opere, a cura di Cesare Segre, Mondadori («I Meridiani»), Milano 1992, vol. II, pp. 337-444; Oscar Mondadori, Milano 2000, con Postfazione di Pier Paolo Pasolini.
Traduzione: L’invité (Madeleine Baudin e Maria-Antonietta Fornari), Préface di Pier Paolo Pasolini, Denoël, Parigi 1987.
Titolo
Il tema dell’ospitalità, secondo Giulio Ferroni, è centrale di tutta l’opera della scrittrice: come rapporto con l’altro, rappresenta l’accoglienza e il rispetto. Ma la messa a fuoco dello sguardo sull’ospite, in questo libro, esula dai ritmi normali della realtà: l’ospite è il nipote Emiliano, figlio dell’unico figlio di Lalla Romano. È un essere d’eccezione, che sconvolge le vite di chi lo accoglie, pur essendo solo un bambino piccolo, normale come tutti gli altri, oggetto di amore e venerazione, ma è anche un essere elusivo e misterioso, un visitatore straniero, forse un dio, di cui non si conosce la lingua.
Argomento
Il nipote Emiliano di pochi mesi è affidato ai nonni dai genitori in partenza per un lungo viaggio in Nepal. L’ospite, presentato via via come tartaruga, anemone marino, come gatto di casa, in certi momenti acquista i caratteri di una divinità. La sua presenza provoca felicità e ansia negli adulti che lo accudiscono con trepidazione, in una città rivista alla luce delle mutate esigenze, in cui nulla è più come prima e la normalità borghese della famiglia è travolta dalla straordinarietà dell’esperienza. La nonna, l’autrice, ripercorre con il piccolo nipote il mistero della vita, l’incanto primigenio delle cose viste per la prima volta, ma anche la paura dell’inadeguatezza, del rifiuto, della gelosia. Una cronaca e una confessione assieme della vita quotidiana che Lalla Romano, intellettuale impacciata nella vita domestica, ha sperimentato in veste di nonna-madre.
Incipit
La notte lo potevo guardare dall’orlo del mio letto, affondato nel suo dalle sponde altissime: il capo rotondo piumoso rilevato di profilo, il suo profilo così tenue, i piccoli pugni ai lati, e il resto come una enorme chiocciola, sollevato sui ginocchi piegati sotto, avvolto nel vecchio scialle.
Intorno era il mio solito mondo non più mio. Le pile frananti, le torri pendenti dei libri, dei fogli; l’instabile proliferazione delle immagini appuntate dappertutto su muri e scaffali, con chiodi, con spilli, con puntine da disegno.
Antologia della critica
La letteratura di memoria, che caratterizza la più fertile attività narrativa della Romano, viene sostituita ora, con L’ospite, da una ricerca espressiva e tematica che, pur avvalendosi dell’operante strumento del ricordo, trasferisce il recupero memoriale-affettivo nei termini di un’operazione culturale capace di innervare il dato sentimentale con una connotazione allusivo-simbolica. Si profila, in partenza, il rifiuto di una ricostruzione articolata e commossa, sospesa sul filo continuo di un ricordo attivo; c’è, invece, un’assidua attività critica e speculativa, riversata su un frammento di vita in sé apparentemente episodico e marginale, in realtà sconvolgente e risolutivo. […]
Pochi quinterni, questo libro. Brevi capitoletti che si accumulano per lunghezze diverse, e che non si impaginano lungo una coerente sequenza temporale. Il discorso si anticipa o si posticipa, a seconda delle necessità indagative. […]
Non vorrei incapsulare L’ospite dentro la ormai comoda formula del romanzo-saggio. È di più, nel senso che il “saggismo” di Lalla Romano non accetta nessuna soluzione, ma resta in bilico fra l’interrogazione e l’ironia. È di meno (o è diverso) del senso che il racconto preme alla scrittrice più di quanto si creda. Le premono le soluzioni visive di esso. E le preme lo stile, e non per edonismo: ma perché, come ho tentato di dire, sa di ottenere per quella via l’intreccio di dramma e pensiero che si è posto come fine.
Enzo Ziciliano
«Il Mondo», 29 marzo 1973
La letteratura di memoria, che caratterizza la più fertile attività narrativa della Romano, viene sostituita ora con l’ultimo romanzo, L’ospite, da una ricerca espressiva e tematica che, pur avvalendosi dell’operante strumento del ricordo, trasferisce il recupero memoriale-affettivo nei termini di un’operazione culturale capace di innervare il dato sentimentale con una connotazione elusivo-simbolica. Si profila, in partenza, il rifiuto di una ricostruzione articolata e commossa, sospesa sul filo continuo di un ricordo attivo: c’è, invece, un’assidua attività critica e speculativa, riversata su un frammento di vita in sé apparentemente episodico e marginale, in realtà sconvolgente e risolutivo. […]
Con avveduta disponibilità alla penetrazione psicologica la Romano utilizza la sua particolare (e riconoscibile) sensibilità di percepire le zone più intime e ombrose dell’intenso flusso esistenziale; lascia indietro, come residui insignificanti, le manifestazioni di più corposa evidenza e percorre fino in fondo il tracciato arduo e insidioso della registrazione psicologica nel suo profondo. […]
La Romano mira esclusivamente alla difficile chiarificazione dell’essenza di un accadimento che, di là dalla sua apparenza effimera e provvisoria, impone un globale ripensamento intorno a valori umani e affettivi accettati irrazionalmente e ripropone una verifica del senso dell’esistenza: è un’occasione della vita che accerta l’inutilità d’ogni autosufficiente sicurezza e che testimonia del destino di incertezza, di insicurezza, di improbabilità, di incessante problematicità cui l’uomo appare inevitabilmente costretto.
Luigi Surdich
«Il Secolo XIX», 13 aprile 1973
Questo romanzo di Lalla Romano è un’opera «irritante»; costringe a rimanere ancorati ad una realtà drammatica e lineare quale è quella della vita, senza concedere nulla al vitalismo estetizzante. La sua sostanza «d’urto» consiste nel rimandare impietosamente il lettore ad un confronto con se stesso, privo di facili illusioni, intorno al tema del rispetto del prossimo (di qualsiasi età e di qualsiasi luogo) e del modo di amare. Proponendo una «lezione» d’amore tutta razionale e sconvolgente, nel senso di una continua contemplazione dell’«oggetto» e di una puntuale riflessione autocritica, tradisce tutte le attese «comuni», si nega ad ogni apparentemente umile, ma sempre mortificante, atteggiamento sentimentale. […]
Dall’originale struttura de L’ospite si evidenziano come motivi conduttori due elementi, la passione e l’intelligenza: la prima come sinonimo di rottura di schemi, libertà di confronto col reale, tentazione di fuga; la seconda come sinonimo di chiarezza, volontà di ricomporre, ritorno alle proprie responsabilità. […]
Ancora un’esperienza vissuta in modo totale, assoluto (che è nella «storia» e la travolge) ha fornito alla scrittrice torinese il «pretesto» per un «viaggio» nel mondo dell’arte ove le figure care, recuperate a tocchi rapidi, tramite battute, occhiate, gesti si legano ad incontri inattesi, a personaggi di scorcio.
L’opera è tutto questo e molto di più, come sempre accade per chi ha voluto o vuole fornire un saggio sulla scoperta (perenne) dell’amore per le cose, per gli esseri umani, per la vita. Il risultato non è la sublimazione di parole consuete, nomi comuni, forme dell’uso, ma è una sfida, un’indagine non conclusa, un’indicazione che graffia.
Anna Maria Catalucci
«Corriere del Ticino», 28 aprile 1973
L’argomento principale è ovviamente, l’ospite medesimo, questa creatura misteriosa approdata da un altro mondo alla comprensione o all’incomprensione di una famiglia. Un bel libro senza il minimo dubbio, il resoconto di una duplice educazione. Giustamente, la conclusione suona positiva: «Era stato, però, anche un piccolo dio. Ora è soltanto umano».
Oreste del Buono
«Il Messaggero», 30 aprile 1973
Un libro scritto indubbiamente con mano sicura e in una prosa il cui il ritmo sintattico coincide con quello interiore della scrittrice: un ritmo che solo qua e là s’impenna […]. Dove la Romano risulta convincente, anzi avvincente, è in quei passi dove si precisa la sua vena intimistica, dove il suo parlato si fa basso continuo e avvolge il microcosmo infantile senza che questo appaia ribaltato in una atmosfera di eccessiva lucidità.
Osvaldo Guerrieri
«Momento Sera», 2 maggio 1973
Il libro non ha andamento di parabola né di diario, ma di racconto svelto, scorciato, «essenziale», appunto, anche nella sintassi, frequente come è di ellissi e di allusioni pregnanti. […]
La Romano ha un sicuro temperamento narrativo, oltre che razionale e lirico, e punta soprattutto all’evidenza rappresentativa, «drammatica» di ciò che ricorda, procedendo nel suo lavoro di scavo, che qui tocca profondità inedite, per immagini e toni piuttosto che per analisi.
Arnaldo Boccelli
«La Stampa», 18 maggio 1973
Raramente una vicenda autobiografica ci è parsa tanto serenamente liberata dagli indugi e dai limiti del fatto privato: e non perché, come potrebbe apparire a prima vista, Emiliano sia il simbolo dell’infanzia o la proiezione luminosa dell’innocenza. Emiliano non assume mai un ruolo astratto: il libro lo segue proprio nel flessuoso districarsi della giornata, tra il sonno e l’ora del cibo, tra il giro sul passeggino e le scoperte e gli stupori. Chissà che non sia proprio la puntigliosa e tenera cronaca a determinare l’alto risultato dell’autobiografia che non è più tale. Lo scrivere riserva sempre un margine di mistero: e la Romano sembra muoversi, appunto, nell’alone di questa quasi impercettibile magia anche quando i fatti hanno la corposa evidenza di un diario.
Giulio Nascimbeni
«La Domenica del Corriere», 22 maggio 1973
L’ospite stupisce innanzitutto per la freschezza e l’originalità […]. Lalla Romano ha affinato col tempo, gradualmente, e con incertezze e smarrimenti, se pur rari, la sapiente costruzione d’un proprio ambito d’esperienza e l’ha gradualmente aperta a prospettiva di conoscenza del reale, d’un proprio mondo. Ha scelto sempre di partire da una puntuale osservazione, approfondita con acutezza da un occhio che dà luce e spazio al particolare, ne reperisce come una interna linea, lo accampa e gli dà volume, e misura. […] I brevi capitoli trasformano il tempo e lo sviluppo dei fatti e ogni storia di rapporti, e corso d’eventi, in una durata di significati, di sentimenti, al cui fondo è come una freschezza di luce ferma, che è, appunto, quel pregio che richiama agli esordi della Romano, e maturato come sensibilità compositiva, architettura di racconto.
Aldo Borlenghi
«L’Approdo Letterario», giugno 1973
Lalla Romano è la cronista, laconica ed esatta, di questo vasto e conturbante spazio di esperienze familiari che sottopone giorno per giorno ciascuno a dar prova del proprio spessore morale. Sottile indagatrice dell’ombra quotidiana e dei suoi brevi sprazzi di luce, Lalla Romano ha saputo spesso rintracciare il difficile filo di questa poesia che emerge dall’ordito delle relazioni fondamentali, dal mosaico di coniugi figli e nipoti che finisce per coincidere col tessuto stesso della persona che si pone al centro di quella rete. […]
Cristallino e limpidissimo, talora trasparente sino alla esilità, L’ospite affronta vittoriosamente, con esiti di schietta poesia e di secca chiarezza etica, la sfida proposta dal suo difficile tema. […]
È la storia di un amore, con tutto l’imperioso azzardo e con tutta la meticolosa pazienza della passione, che trasforma sempre chi ama in un archivista totale e spietato della persona amata; Lalla Romano sa trasportare nella tersa concisione del linguaggio tutta l’armonia e la dominata irruenza di una intensità affettiva che non vuol concedere nulla a se stessa e al proprio geloso assolutismo e che soprattutto si vieta qualsiasi indulgenza nei confronti dell’oggetto della propria trepidazione. […]
Aliena dal realismo e dalla psicologia, Lalla Romano ritrae le cose e le persone di scorcio, come fossero rivelatrici ed improvvise accensioni di luce e ne afferra spesso la nascosta verità, una dimensione di grazia incorrotta e non scalfita dalla ruota dei giorni.
Claudio Magris
«Corriere della Sera», 10 giugno 1973
Una donna anziana è innamorata di un ragazzo molto più giovane di lei […].
L’amore che ha travolto la donna anziana per il giovane non è un amore platonico: è un amore completo, che comprende, dunque, i sensi e il sesso. E anche se non giunge mai al compimento naturale, alla congiunzione, esso ha però tutti i riconoscibili e incoercibili caratteri della passione. […]
La donna anziana innamorata del giovane è una nonna innamorata del suo nipotino. […]
La qualità totale della passione, come vero e proprio Eros, è ben chiara nella coscienza della donna innamorata: e, mentre per essa si perde, ne segue con lucidità il processo. […]
Il libro è scritto in una lingua pura, eletta e selettiva; non c’è mai un errore di gusto o una forma espressionistica: lo spirito, un certo spirito, che presiede alla lingua della poesia, presiede a questo breve romanzo in prosa, fatto come di brevi lasse, leggere e assolute. Se non fosse per questa sostanziale qualità letteraria, che oltre che essere propria della formazione letteraria novecentesca italiana dell’autrice, è in funzione di litote, di difesa del pudore – per una passione vissuta in modo così estremo – si potrebbe dire che questo libro ricorda la terribile viziosità di Tanizaki. […]
Ciò che mi importa era prevenire il lettore da una possibile lettura errata (la descrizione, sia pur deliziosa di un bambino, o qualcosa di simile), e indicare la grazia e l’eccezionalità di questo libro in un momento in cui l’opinione pubblica (con la colpevole connivenza di molti miei colleghi critici) è tutta presa dai libri stupidi della stagione letteraria.
Pier Paolo Pasolini
«Tempo illustrato», 1 luglio 1973; poi in Id. Descrizioni di descrizioni, a cura di G. Chiercossi, Einaudi, Torino 1979, pp. 121-25
Il breve libro L’ospite parla del bimbo, dapprima e soprattutto, come “presenza”: un essere «venuto da lontano», il cui esserci «sommuove il senso della vita, crea nuovi legami fra le cose, le persone, i pensieri». Emiliano è bello, di una perfezione che alla donna ricorda i modelli della pittura, ma anche le sembra esoterica («La giudicai, non senza apprensione, un “segno”»). Ha tratti di un Buddha; a volte ha la condiscendenza del Bambino delle immagini sacre che «si volta verso il devoto in ginocchio».
Più d’uno ha scritto che L’ospite è la storia di una passione (non corrisposta). La scrittrice stessa ne fa cenno più volte […].
Pier Paolo Pasolini ha proposto un’interpretazione analogica che è estremamente suggestiva. […]
A Pasolini io opporrei questa riserva: i termini del contrasto sono certo questi: «la scena» della passione è approntata, i suoi virtuali «episodi» si svolgono, ma la passione non si è accesa, o meglio non si accende che nell’intelletto della donna (della nonna) narrante. Il motivo di questa carenza mi pare semplice: L’ospite per la sua protagonista resta soprattutto un «libro», cioè un atto espressivo e una forma letteraria. «Che cosa» lei senta è per lei meno importante del «come» dirlo e a quali pensieri legarlo. […]
La scrittura di tutto il libro, a capitoletti tersi e vibratili come “mobiles” di Calder, è di una rarissima misura. Infine, dove la cronista di ferma a meditare, la sua penna incide pensieri profondi. […]
Come Pasolini indica acutamente, il nuovo amore infelice (ed entusiasmo) della nonna per Emiliano, è una replica dell’antico amore infelice (e disamore) della madre per Piero. Ma anche in questo nuovo caso, ai miei occhi, in lei passione non c’è. Per commossi e tenaci che siano i suoi sentimenti per lui, l’offerta d’amore di Lalla Romano al suo «piccolo dio» sta nei fogli di un libro.
Paolo Milano
«L’Espresso», 29 luglio 1973
L’ospite presenta uno schema narrativo esemplare, nella sua semplicità, quasi formula di ogni possibile racconto: un elemento (un «perturbatore» se si vuole: il bimbo appena nato) entra a modificare una situazione data: nella fattispecie, la situazione della narratrice, i suoi rapporti con le cose, con le persone, con il proprio lavoro e perfino con le proprie reazioni. Questa situazione si altera, si trasforma per la presenza del «perturbatore», e le azioni concorrenti che essa provoca da ogni parte: tale mutamento è per definizione il racconto, tragitto da uno stato A a uno stato B. Ma la trasformazione del racconto non è semplice trasferimento geometrico, spaziale da A a B: è uno sviluppo organico, uno sviluppo che avviene in un organismo animale. […]
Così si è arrivati a quello che direi il «romanzo del profondo» senza, beninteso, attribuire al termine «profondo» nessuna sfumatura psicanalitica, ma semplicemente usandolo in contrapposizione al «romanzo di superficie», per indicare il momento autentico del libro.
Giuliano Gramigna
«Il Giorno», 29 agosto 1973.
A proposito del nucleo ispiratore di gran parte della narrativa di Lalla Romano, verrebbe spontanea l’espressione «poesia degli affetti familiari»: l’espressione è un po’ scolastica e stantia; la poesia della Romano è invece autentica e originale.
Madre ansiosa e sconcertata in Le parole tra noi leggere, con L’ospite sperimenta una condizione persino più struggente: allevare, per un periodo di tempo che sembra insieme lunghissimo e breve, il figlio di suo figlio. […]
Il tema dei rapporti nonna-nipote non è nuovo nella letteratura, ma di solito è analizzato, o ricordato più o meno proustianamente, dal punto di vista del nipote. Qui appare capovolto, ma non in ciò solo risiede l’originalità del libro. Questa ci pare si debba piuttosto cercare nello stile trepidante e leggero, simile a quelle infiorescenze dette «soffioni» che i ragazzini colgono in campagna e disperdono all’aria con una energica sbuffata. Uno stile che ha paura di offuscare con una parola di troppo il miracolo di una felicità nuova e tormentosa. Una scrittura che, per parlare dell’ineffabile, chiama a raccolta tutto quello che fa parte dell’esperienza umana e intellettuale dell’autrice; e si serve indifferentemente della reminescenza colta o di una frase della lingua popolare.
Antonia Mazza
«Letture», agosto-settembre 1973.
La Romano scrive di sé, ovviamente come tanti altri scrittori del nostro tempo, però con la nota particolare dello scrivere di sé in modo indiretto, laterale, più che altro attirando nella zona fra il «quasi-tutto» e il «tutto» le persone che le stanno intorno e in preferenza quelle della cerchia domestica. Emergono così a livello di letteratura il bambino Emiliano e la Rachele dell’Ospite, il figlio delle Parole, la Maria dell’omonimo libro: in rapporto con la realtà, ma anche diverse dalle occasioni reali per la doppia legge del «quasi-tutto», legge che tiene conto sia del limite conoscitivo e psicologico a ogni discorso sugli altri, sia delle inevitabili approssimazioni trascrittorie. […] Ora la Romano è proprio per questa sottile coscienza che pone le sue pagine fra quelle che hanno elevato l’autobiografismo a categoria caratteristica del romanzo del Novecento. […]
All’origine di qualsiasi caso del genere è da vedere un’esigenza di realismo. È una disposizione allo scrivere realistico che induce a eleggere a principale campo di occasioni narrabili il particolare ambito delle proprie esperienze. Quello che poi, a operazione compiuta, resta sulla pagina, non è più l’autobiografismo di cui si parlava una volta con estetico orrore: è un realismo di tipo nuovo, condannando il quale si condannerebbero i tre quarti della narrativa novecentesca. La qualità documentaria di tale narrativa porta i segni di una confusa, se si vuole, difficile, ma anche impegnata e ostinata ricerca del vero. E l’io narrante come primo testimone di quello che dice funziona anche da garanzia. […]
Parafrasando una celebre massima, si potrebbe dire che l’autobiografismo laterale della Romano è un omaggio che una borghesia intelligente, antifascista per tradizione liberale, rende alle ragioni morali e storiche del neorealismo. […]
Ma L’ospite non suggerisce solo queste ipotesi. Manifestamente legandosi al libro precedente (Le parole tra noi leggere), conferma il tema della maternità come tema in sé e come punto di vista fondamentale, centro etico, posizione umana da cui guardare al mondo con sufficiente fermezza. Su questo tema, Lalla Romano consegue tanto la pienezza del proprio discorso, quanto la coerenza del femminile io narrativo in cui trova compimento letterario. La cosa ha un’importanza che supera l’ambito familiare delle occasioni. La realtà che nel tempo, libro per libro, la sua arte affronta è una realtà in cui una nozione di crisi viene a riproporsi di continuo.
Sergio Antonelli
«Belfagor», XXIX (1974), n. 2, pp. 230-31.
Nel rapporto di Lalla Romano con la realtà e con gli altri assume un rilievo non trascurabile la dimensione dell’ospitalità. La scrittrice è come «ospite» del mondo esterno, delle vicende quotidiane, delle immagini dell’esistenza, dei suoi ritmi e dei suoi accadimenti, si lascia accogliere da un mondo che non è mai fino in fondo suo, e che anche nei momenti di più affettuosa identificazione si pone in una certa non misurabile «distanza» (che spesso coincide con una distanza della persona da se stessa, dalla propria presenza). Nello stesso tempo ella ha una eccezionale disponibilità ad accogliere gli altri: riconosce ed afferma il valore e l’autenticità delle altre persone e delle altre esistenze, proprio in quanto sa «ospitarle» nella propria scrittura, sa farle entrare nella propria casa riconoscendole come presenze venute da altrove, come immagini di una vita «altra» da accettare, da comprendere, da rispettare nella sua alterità. […]
Il libro che ha per titolo L’ospite pone un caso del tutto particolare di «ospitalità», quello dei nonni verso il piccolo Emiliano affidato a loro dai genitori in viaggio. Questa situazione, così «normale» e tanto diffusa nella nostra società, spinge la scrittrice ad interrogarsi sulla modificazione che la presenza del bambino, con la sua corporeità, con la sua immediatezza, con la sua vita segreta e «altra», introduce nel ritmo dei suoi giorni, della sua vita intellettuale, del suo stesso modo di sentire l’esistenza. […]
Tutto il libro è un confronto tra il mondo quotidiano dei nonni, alterato nei suoi equilibri consueti, e la «felicità sottile, impalpabile» che è racchiusa nella presenza fisica del bambino, e in quel «piccolo spazio troppo folto» che egli occupa di notte. Emiliano è qualcosa di «altro»,. che viene da un altro mondo e nello stesso tempo si pone come vicino, come corporeità che è lì, che si afferma col calore immediato del suo stesso esserci, al di là di ogni schema intellettuale, di ogni razionalizzazione, di ogni interpretazione, di ogni miseria della psicologia. […]
Tutta l’opera di Lalla Romano ci aiuta proprio a ricercare la «perfezione» di uno sguardo alla vita e alle persone, alla contraddittorietà dell’esistenza: nel segno di un «amore» che sa riconoscere fino in fondo il valore dell’altro, che non sovrappone all’essere delle persone schemi ideologici o valori posticci, mitologie di cartapesta, ma si ostina a conoscere fino in fondo le condizioni, i limiti, le pieghe oscure della vita di relazione, del nostro essere qui tra gli altri.
Scrittura concentrata sulla integrale e sfuggente concretezza dei rapporti umani; scrittura della vita come apertura agli altri, come lucidità sentimentale, come affermazione di ciò che vale e conta davvero. «Ospiti» di questa luminosa scrittura, abbiamo quanto mai bisogno della sua «nobile» sincerità, della sua capacità di vedere e di sentire, contro un mondo che si affida sempre più alla menzogna, alla degradazione, all’apparenza, alla volgarità, alla falsa trasgressione, alla becera esibizione, al chiasso pubblicitario.
Giulio Ferroni
Lo sguardo verso l’ospite, in A. Ria (a cura di),
Intorno a Lalla Romano. Saggi critici e testimonianze, Mondadori, Milano 1996, pp. 49-54.