Le parole tra noi leggere
Edizioni
Prima edizione: Einaudi («Supercoralli»), Torino 1969.
Successive edizioni Einaudi:
- «Gli struzzi» 1972, 19892, Prefazione dell’autrice;
- «Einaudi Tascabili», Torino 1996, 19982, 20123, Prefazione di Vittorio Sereni.
Altre edizioni:
- Club degli Editori («Premi Strega»), Milano 1970, Prefazione di Oreste Del Buono;
- Mondadori / De Agostini («Grandi premi della letteratura italiana»), Novara1992 ;
- in Id., Opere, a cura di Cesare Segre, Mondadori («I Meridiani»), Milano 1991, vol. II. pp. 3-336;
- La Stampa («Collezione d’autore»), Torino 2005;
- Utet / Fondazione Maria e Goffredo Bellonci («Collezione Premio Strega / I 100 capolavori»), Torino 2006, Prefazione di Cesare Segre;
- Fondazione Maria e Goffredo Bellonci / Il Sole 24 Ore, Prefazione di Cesare Segre, Milano 2011.
Traduzioni: Oya to Ko no Katarai (Ken Chifugusa), Futami-Shoho, Tokyo 1970; Cuvintele de toate zilele (Constanta Tanãsescu), Editura Univers, Bucarest 1974; Ces petits mots entre nous (Jean e Marie Noëlle Pastureau), Prefazione di Eugenio Montale, Denoël, Parigi 1987; Suaves caen las palabras (Carlos Manzano), Introduzione di Soledad Puértolas, Asteroide, Barcellona 2005.
Premi
Premio Strega, Roma 1969.
Titolo
Sono versi di Montale tratti da una poesia della raccolta La bufera e altro: «… le parole / fra noi leggere cadono. Ti guardo / in un molle riverbero. Non so / se ti conosco; so che mai diviso / fui da te come accade in questo tardo / ritorno. Pochi istanti hanno bruciato / tutto di noi: fuorché due volti, due / maschere che s’incidono, sforzate, / di un sorriso» (Due nel crepuscolo). Come nella citazione, la scelta dell’aggettivo leggere non deve ingannare rispetto al senso del libro di Lalla Romano, dove le parole, anche quando sono ironiche, non sono mai lievi.
Argomento
È la storia del rapporto fra una madre, la narratrice, e suo figlio, oggetto renitente dell’«indagine» materna. Nel resoconto del loro difficile legame, emergono due visioni del mondo, che hanno sì in comune spregiudicatezza e culto della libertà, ma sul piano pratico portano all’incomprensione e al conflitto. La madre «vuole» comprendere il figlio, che elude i suoi tentativi di comprensione/possessione con una ribellione spinta fino alla negazione di sé.
«Minuziosamente, con una precisione da cartella clinica niente affatto pietosa, vengono registrati gli incontri-scontri fra istinti analoghi e divaricati in una quasi sacrilega ricerca di reciproca offesa» (Anna Banti).
Incipit
Io gli giro intorno: con circospezione, con impazienza, con rabbia.
Adesso, gli giro intorno; un tempo invece lo assalivo. Ma anche adesso ogni tanto – raramente – sbotto. Allora lui mi guarda con la sua famosa calma e dice: – Tu mi manchi di rispetto!
La mia collera di ora dev’essere un residuo delle antiche battaglie, quando io reagivo come se lui fosse una parte di me che tradiva se stessa e dunque mi tradiva. Ai miei assalti e assedi ormai più che altro ammirativi, lui oppone freddezza, noia e perfino gentilezza (distratta). Ma soprattutto io non rinunzio a tentare di conoscerlo, discorsivamente voglio dire. So bene che le domande sono un sistema sbagliato; ma ci ricasco. Lui è seduto davanti a me, immerso in un libro (magari un fumetto). Io provo a incominciare un discorso, e per di più su temi generali. Senza alzare il capo risponde: – Non so.
Antologia della critica
Il libro della Romano Le parole tra noi leggere è una nuova conferma dell’arte poetica di un’autrice che non alza mai la voce e preferisce alludere piuttosto che parlare ad alta voce o ricorrere addirittura al megafono. [...]
La Romano si è sempre mantenuta fedele a quella che potrebbe dirsi l’arte del silenzio, la capacità di parlare sottovoce, nella non sempre fondata fiducia che esistano ancora lettori dotati di un orecchio fine. Soccorreva l’autrice il fatto che la memoria, e soltanto la memoria, era la sua sorgente d’informazione. Ma questa volta è intervenuto un fatto nuovo: la memoria lavora ancora ma è alimentata da molti documenti rimasti per lunghi anni chiusi a doppia chiave in qualche cassetto. […]
C’è una madre dotata di sensibilità non solo morale ma anche estetica; un padre tanto intelligente quanto dominato da un pudore assoluto nei riguardi dello sconosciuto che è venuto ad arricchire quell’unione: un figlio, un figlio unico. E questo figlio fin dai primi anni desta perplessità e preoccupazioni. [...] Sembra destinato a diventare un capellone avant lettre, un mite epicureo, uno di quelli usciti da famiglie agiate ma capaci di vivere con poco o nulla, almeno per qualche tempo. Dalle sue lettere traspare un certo senso di umorismo, una singolare capacità di autoironia. [...]
La materia del racconto dobbiamo cercarla nel suo personaggio vero, che non è il figlio ma la madre. Lalla Romano è uno di quegli autori che raccontano se stessi non per difetto di fantasia bensì per scrupolo di autenticità. [...]
La rischiosa avventura è portata a buon fine dalla verità tutt’altro che fotografica del referto; e dall’arte, qui portata al massimo, dell’arte del dire e non dire, dalla vocazione al suggerimento e alla confessione indiretta. Questo è il filo d’Arianna che deve guidare chi voglia avventurarsi in una storia che non ha nulla di drammatico e di sensazionale anche se si svolge in un trentennio non certo povero di orrori e di sventure. Se c’è ancora qualche lettore capace di amare una poesia incapace di esibirsi come tale, questo è un libro che può fare per lui.
Eugenio Montale
«Corriere della Sera», 27 aprile 1969
Che libro singolare, questo nuovo di Lalla Romano, tormentoso e tormentato, col quale, fino dalle prime pagine, la convivenza è difficile. Già il titolo, tolto a un verso di Montale, Le parole tra noi leggere, dà un’impressione ingannevole. Anche quando sono ironiche o di una cupezza giocosa niente è infatti mai lieve nelle parole che, idealmente o a voce, si scambiano i due antagonisti, madre e figlio. Libro reale, cioè non d’immaginazione, in quanto autobiografia dell’autrice medesima quale madre in difetto, o meglio, biografia di suo figlio P., bambino difficile, adolescente difficile, adulto difficile. [...]
Se l’intervento dell’autrice fosse stato contenuto dal riserbo nel delicato rapporto o dal freno dell’arte, il libro di Lalla Romano sarebbe tutto bellissimo, come invece è soltanto in parte. Dovunque non entrano in giuoco le materne passioni o rimorsi o rivalse sul destino, Le parole tra noi leggere ha pagine e pagine che direi le più ferme, e acute e profonde, delle molte ottime che la scrittrice ci ha dato, da vent’anni che molti di noi la leggono.
Paolo Milano
«L’Espresso», 27 aprile 1969
Due differenti intuizioni del mondo, due differenti scelte prammatiche si scontrano senza soluzioni: la madre si espone, senza pietà si denuncia, manifesta e documenta i modi via via scientifici, estetici, culturali, sentimentali, con cui ha tentato di «guardare» il figlio, attraverso lettere, parole, sprazzi di memorie, sogni; il figlio, anche lui tramite lettere, parole, fatti sfugge allo sguardo amoroso, complice che vorrebbe fargli operare il compromesso famoso, aiutarlo a «realizzarsi»: in un mondo come questo preferisce non essere piuttosto che essere. [...]
L’opera è aperta e stimolante perché denota subito e cela i segreti di un’esistenza in atto, propone ma non dogmatizza un modo di guardare e amare; [...] impegnandosi a delineare, sbozzare, rincorrere il mistero dell’«altro», la sua inafferrabilità, il suo non lasciarsi guardare.
Anna Maria Catalucci
«Corriere del Ticino» [Lugano], 8 maggio 1969
Lungo il corso del racconto non accade mai che un episodio raccontato viva per sé come una belluria: la forma del libro vuole che ogni episodio ne abbia in parallelo un altro a propria spiegazione. Procede, Le parole tra noi leggere, come un singolarissimo saggio, tenuto dentro linee narrative.
Dunque, alla fine, avete tra le mani il diagramma tragico, appassionato, di una relazione d’affetti. Tragico, perché la madre si trova sempre ricondotta alla impossibilità metafisica di capire il figlio: appassionato, per la voglia di amore che trasmette.
Enzo Siciliano
«L’Opinione», 11 maggio 1969
Libro difficile da classificare. [...]
In trasparenza ci vien data la storia segreta di questi anni: di chiunque abbia cercato di capire i giovani e di rappresentarsi i disagi e le inquietudini che accompagnavano la loro crescita. Ne è derivata un’opera tutta sperimentale nelle sue aperture, nei guizzi ironici, nel sommesso umorismo che lievita dal racconto, persino nelle sue durezze. La scrittrice ha comunque evitato gli scogli della confessione. [...] Ed è senz’altro un’avventura attuale quella di una madre che educando il figlio, ha corso il rischio di trasformarlo in metafora di una sua concezione del mondo e che, dalla ribellione del figlio, ha saputo trarre alla fine un’umile lezione di realtà.
Michele Rago
«L’Unità», 13 maggio 1969
È la storia della madre che dice io nel romanzo della Romano, nota come scrittore dal tocco sapiente, tutta chiusa in una intimità dalle eco lunghe: questa volta tanto lucida e distaccata dal suo oggetto da potergli girare intorno in una instancabile ricerca di essenziali verità. Vogliam dire che poco importa se lo scrittore è una donna, madre di un figlio difficile: il suo sguardo che avvolge in una sola occhiata di competente, mamma e figliuolo, non è mai umido ma piuttosto freddo e persino ironico. [...]
Minuziosamente, con una precisione di cartella clinica niente affatto pietosa, vengono registrati senza commenti gli incontri-scontri fra istinti analoghi e divaricati in una quasi sacrilega ricerca di reciproca offesa. Ogni scoperta della donna è un trauma, ogni iniziativa del ragazzo è scontrosa, fiera di autonomia dissacrante. [...]
In effetti una così assidua e quasi puntigliosa accumulazione di testimonianze di prima mano converrebbe a un sociologo, a uno studioso di psicologia familiare. Noi propendiamo per interpretarlo col desiderio dell’autrice di eliminare e sconfiggere l’elemento emotivo, troppo urgente in un argomento così scabroso. Sta di fatto che la sua sommessa, limpidissima poesia, quel suo procedere per vuoti aerei e grumi essenziali, vengono qui coscientemente sacrificati: probabilmente a indicare una nuova strada da percorrere e da proporre.
Virginia Woolf, auspicando la nascita del grande scrittore totalmente femminile, ha più volte insistito sulla necessità che esso si manifesti con caratteri del tutto autonomi dall’esempio e dal modello dello scrittore tour court: finalmente libero dalla leggenda leggiadramente minoritaria della letteratura femminile. Forse l’ultima prova della Romano va considerata in questa direzione. Coraggiosa in più di un senso.
Anna Banti
«Paragone», giugno 1969
Le parole tra noi leggere è certamente un libro della Romano, vale a dire legato a tutta la sua storia di narratrice, e direi di più, di persona umana, di donna; ma è anche un libro così essenzialmente nuovo da porsi fuori di quella storia: su un piano parallelo, ma, proprio per questo, non comunicante. È il punto più alto della Romano; è il libro, finora, più importante che sia uscito quest’anno. [...] Un gran bel libro e di grande coraggio.
Luigi Baldacci
«Epoca», 1 giugno 1969
Il libro riveste un carattere così particolare da esigere un tipo di indagine, che va al di là della semplice valutazione letteraria. [...]
La scrittrice è talmente dominata dal suo tema da saltare qualche volta una misura di opportuno controllo, per cui il testo passa dall’emozione alla sentenza definitiva. [...]
La Romano [...] ha inventato una nuova dimensione, con la grossa riserva che tale dimensione conserva un carattere privatissimo. [...] Ha seguito una strada nuova, quella che dall’eccesso d’amore porta direttamente all’esemplificazione.
Carlo Bo
«L’Europeo», 19 giugno 1969
Le parole tra noi leggere, non è più un romanzo, neppure un romanzo ispirato. È il resoconto di un legame difficile tra madre e figlio, un resoconto realistico che, tuttavia, non rinuncia mai alla fantasia: è, per me senza alcun dubbio, il vero capolavoro di Lalla Romano. [...] In questo libro è contenuta la testimonianza di un lucido interesse, un interesse in cui l’urgenza patetica dell’affetto è corretta dalla vigilanza tenace dell’umorismo. [...]
Come tutti i libri seri, questo libro appassionante (non esagero: appassionante) è senza una conclusione lieta e neppure triste.
Oreste del Buono
Prefazione a Le parole tra noi leggere, Club degli Editori, Milano 1970, pp. XII-XIII
È l’opera di Lalla Romano di maggiore successo, com’era naturale dato il tema (la difficoltà di educare un figlio), che richiamava una recente rivoluzione sociale (il passaggio dall’educazione cosiddetta repressiva a quella cosiddetta permissiva). In più, dato che il figlio, narrato dalla nascita al matrimonio e al suo primo lavoro letterario, insomma fino a oltre i trent’anni, è un figlio difficile, anticonformista e tendenzialmente asociale, ribelle all’insegnamento familiare e scolastico, il libro cadeva proprio al momento giusto: nel clima del ’68, col suo ricco e confuso corteggio di idee politiche e psicologiche. Libro imprevedibilmente sintonizzato perché il suo personaggio, senza volerlo, aveva anticipato alcuni atteggiamenti dei ragazzi di quasi una generazione dopo. [...]
Il rapporto madre-figlio non è solo un rapporto di comprensione; è un legame affettivo, carnale. Il conflitto, anche drammatico, che il libro ci narra è quello tra le forme: il figlio ama, però in forme diverse da quelle che la madre si attende, che saprebbe riconoscere; la madre ama, però con forme (passionali, esplicite, anche prepotenti) che il figlio rifiuta, pur accettando implicitamente l’amore. Si aggiunga, dalla parte della madre la discrezione, da quella del figlio l’introversione: basta a spiegare la sostanziale incomunicabilità. Tutto ciò fomenta, sul piano della scrittura, la tecnica della Romano: accumulo di piccole osservazioni con la speranza di giungere ai significati basilari. Ecco perciò questa espressione bellissima: «leggere» il figlio. [...]
La tecnica a «indagine» ha finalità complesse: fissare momenti di realtà vissuta e analizzare i comportamenti, del figlio per comprendere ciò che forse non fu subito compreso, della madre per definirne gli errori. Un senso di colpa (probabilmente ingiustificato) della madre rende estremamente attenta, ipersensibile la narratrice. E i significati continuano a crescere, irreparabili.
Alla tensione della madre-narratrice si contrappone un carattere (e un character) che sottopone i giudizi, le idées reçues, le norme, le convinzioni religiose, insomma tutto il mondo, a uno smascheramento ora paradossale, ora fortemente loico, spesso eversivo. Si potrebbe parlare anche di umorismo, tenuto conto che l’enunciatore è sempre, da buon umorista, serissimo. [...]
E lentamente si chiarisce il senso di libertà che ispira tanti comportamenti fuori delle norme. Efficacissima la polarità fra tensione interpretativa e affettiva da un lato, libertà, che è anche invenzione, dall’altro.
Cesare Segre
Introduzione a L. Romano, Opere, Mondadori («I Meridiani»),
Milano 1991, vol. I, pp. XXXVII-XXXIX
Le parole tra noi leggere è rivolto a ricostruire il suo rapporto di madre con il figlio Piero in una inquieta indagine dei segni che rivelano l’irriducibile estraneità del bambino, e poi dell’adolescente e del giovane: tra ricerca di piena e amorosa comunicazione e scacco continuo dei tentativi di contatto, agiscono da una parte la particolare posizione della madre, il suo mantenere sempre un punto di vista «intellettuale», e dall’altra le scelte singolari del figlio, che resta un segreto, inafferrabile, che sfugge a tutti i tentativi di decifrarlo (e la scrittura è nel contempo come sospesa, «leggera» appunto, e animata da una singolare crudeltà, da un insuperabile residuo di rabbia).
Giulio Ferroni
Postfazione a L. Romano, La penombra che abbiamo attraversato,
Einaudi Tascabili, Torino 1994, p. 213
Straordinaria [...] è la capacità della Romano di estraniarsi dalla materia pur così vicina e per lei coinvolgente. [...] Ci sorprendono toni aspri, perfino crudeli, scivolate grottesche, accenti ironici. Ed è qui che il libro si salva (acquista qualità). E che sia così lo sa, ancor prima di noi, la Romano, che dell’ironia scrive che è il soccorso indispensabile per trasformare il narcisismo «in visione, in stile». [...] In questo giuoco del contrario, in cui il diritto sta al rovescio, è da apprezzare anche la sensazione che l’autore-autrice dà di girare a vuoto. La Romano si accanisce intorno a personaggi, gira e rigira intorno ad essi (li scuote fino all’ultima goccia) ma ha (e dà) l’impressione di non riuscire a prenderli. [...]
Avrebbe avuto senso tenere i personaggi dentro gli spazi che occupano nella vita? […] No, occorreva farli uscire. Anche a costo di travisarli. Lei dice di inventarli: che è quello che si chiede a uno scrittore.
Angelo Guglielmi
«L’Espresso», 5 settembre 1996
Quanto poi al linguaggio letterario di Lalla Romano, si nota che esso, applicato ad un impegno nuovo, è cambiato rispetto alle opere precedenti: «Il linguaggio è tutto: è la chiave», riconosce la scrittrice. Il gusto delle penombre e delle suggestioni, la funzione evocatrice dei silenzi e delle preterizioni (che in Lalla si realizza in particolare con un impiego raffinatissimo dell’interpunzione), in questo romanzo lascia il posto a un modo di esprimersi più teso e mirato (la scrittrice stessa parla della fatica a trovare la forma stilistica più efficace e dello stato di tensione in cui ha lavorato). Non solo, ma mentre negli altri romanzi lo slittamento fra i tempi della narrazione creava una specie di sovratempo proustiano, ora domina quasi incontrastato il presente: quello di ogni momento della continua, tenace interrogazione.
Se gli scrittori ci aiutano a comprendere noi stessi, si può dire che Le parole tra noi leggere dànno a tutti un esempio di come si può tentare, a forza d’amore, di comprendere i nostri simili.
Cesare Segre
Leggere il figlio, Prefazione a L. Romano, Le parole tra noi leggere,
Utet / Fondazione Maria e Goffredo Bellonci, Torino 2006, pp. XVI-XVII;
poi in edizione Fondazione Maria e Goffredo Bellonci / Il Sole 24 Ore, Milano 2011, pp. XIV-XV